Dopo un fatto rilevante non bisognerebbe mai usare le parole, troppi ragionamenti di “pancia” e pochi di intelletto, non si interloquisce col lettore a mente limpida ed è difficile farsi capire; chi legge dev’essere invece sicuro di ciò di cui si parla, può essere critico o meno ma deve avere la certezza di realtà oggettive anche se accompagnate dal giudizio personale di chi firma l’articolo.
Capita invece sempre più spesso che in un attimo si faccia a gara per “battere” la notizia, giusto informare dei fatti, un po’ meno sentenziare giudizi; è successo così per l’aimè ormai tristemente noto fattaccio dell’Olimpico durante la finale di Coppa Italia di calcio ed anche per quello, anche se meno altisonante, di Fabio Fognini, n°13 del mondo che ha sì portato dopo 16 anni il tennis azzurro alla semi-finale della prestigiosa Coppa Davis, ma che ha perso la bussola (e il buon senso) in quel di Montecarlo dove, anziché portar in porto un successo ormai certo, ha pensato bene di inveire contro tutti, arbitro, team di appartenenza, addirittura suo padre, rimediando una magra figura e perdendo la partita da babbeo; non è stato un bello spettacolo quello all’ Olimpico di quel delinquente di Genny ‘A Carogna ma nemmeno quello allo Sporting di quel babbeo (ripeto) del “Fogna” di Arma di Taggia.
I quotidiani, dei 2 fattacci, ne hanno fatto colonne di aneddoti ma il comune denominatore è stato l’assoluta incapacità da parte degli enti preposti nel porre rimedi e soluzioni decenti a questi problemi che da anni si ripetono e che legano malcostume e sport nazionale; parole come rispetto verso il “pubblico pagante” e “lealtà sportiva” non fanno da decenni più parte del nostro vocabolario in queste due discipline.
E’ stato detto da chi ne capisce di sport che il calcio nazionale si spiega e si cura col calcio e che le problematiche ad esso legate sono destinate a sparire con gli anni, forse!
All’estero sì, gli Hooligans inglesi in un quinquennio sono stati messi a tacere, ma la filosofia anglosassone in tema di football non assomiglia per nulla alla nostra; per loro il calcio dev’essere uno spettacolo sia che si vinca come che si perda e gli stadi sono luoghi pubblici come musei, parchi e piazze, in cui ci si deve divertire, dove si è controllati e dove chi sgarra viene identificato e punito grazie a leggi allora approvate in soli 15 giorni.
E’ per noi un miraggio ed un altro mondo, infatti il tennis di casa nostra è stato ridicolizzato dal più forte atleta che oggi ci possiamo permettere che, in preda ad una esasperata lunacità ha rimandato alla memoria altri dissennati (e maleducati) suoi colleghi che in barba alle più elementari espressioni di decenza civile, pur sonoramente fischiati dal pubblico pagante, hanno scritto pagine da non ricordare di questo affascinante sport.
Questo “Italian Style” è stato descritto “a botta calda” da qualcuno quasi come una particolarità nostra tutta latina e che nella bolgia di uno stadio di calcio “la democrazia si mostra impotente” oppure che quando si gioca a tennis “è inutile metterci la faccia quando si perde la testa”, ma leggendo bene le due vicende si capisce benissimo che entrambe sono il frutto di un malessere tutto italiano di chi pratica ed assiste alle manifestazioni sportive, che devasta qualsiasi disciplina nazionale ad alto livello e che da troppo tempo è figlio di un’abitudine che hanno tanti “attori” a comportarsi in anarchia e senza alcun decoro.
Allo stadio si tifa, si cantano gli inni di incitamento, non si tratta con polizia e sui campi in terra rossa non si inveisce col coach né col proprio padre, la silenziosa armonia che vivono pubblico e atleta ne ha fatto infatti del tennis una disciplina raffinata, eccellenza tecnica e tattica, di stile e in passato anche di “Italian Style”.
Vas