To be or not to be, that is the question.

E’ una delle frasi simbolo della letteratura e nell’immaginario popolare appare come battuta esistenziale inerente dubbi e indecisioni dell’uomo.

Stessi dubbi e indecisioni del giugno 2016 in occasione del referendum “Brexit”, l’urna britannica ha però sentenziato “Leave” ovvero lasciare l’Ue, pochi giorni fa infatti l’ambasciatore inglese a Bruxelles Sir Tim Barrow ha invocato l’art. 50 del Trattato di Lisbona ossia la clausole che consente il “Leave” e di fatto consentito, con o senza accordi fra i negoziatori, l’uscita fra due anni della Gran Bretagna dall’Unione Europea, per quella data il parlamento britannico cancellerà e sostituirà il documento di adesione alla Ue del 1972.

Nelle previsioni impossibili siamo un po’ tutti maestri d’arte, soprattutto al bar, ma gli interrogativi referendari che si son posti i sudditi di Sua Maestà  non credo facciano parte del nostro Dna, per cui resta sempre difficile per genti latine come noi capire certi “perché e percome” di quelle loro, isolane anglo/sassoni.

Come all’indomani del referendum del 23 giugno gli inglesi si trovano tutt’oggi di fronte al dibattito fra una “soft Brexit” ed una “hard Brexit”, facile intuire che né l’una né l’altra avrà effetti ma prevarrà la sola via di buon senso nel pieno loro interesse ovvero Brexit netta ma senza censure radicali con la Ue in  modo da non allarmare mercati e governi alleati.

A parte la sterlina che qualcosa ha perso a vantaggio della competitività dell’export, lo spauracchio Brexit non ha finora inciso sui dati economici d’oltremanica segnando un +2% di Pil nel quarto trimestre 2016 rispetto ai dodici mesi precedenti ed i bilanci delle potenti multinazionali britanniche hanno ringraziato paventando ottimismo, pacata invece l’euforia di borsa “very british” che ha visto però il FTSE 100 battere record.

Qualche nube si è affacciata su investimenti e consumi fra la fine del 2016 e l’inizio dell’anno nuovo inerente la “storica” stagione dei saldi, colpa di salari e produttività stagnanti, aumento di inflazione (quasi 2%) e disoccupazione (prossima al 5%), come a dire che la crisi non c’è ma potrebbe arrivare; il paracadute necessario a ciò potrebbe venire da fondi di emergenza frutto di facili introiti colpendo lavoratori autonomi (evasori) e tassando maggiormente ciò a cui gli inglesi tengono di più ovvero l’alcool.

Il desiderio di chi voleva restare in Europa non è più considerato di alcuna importanza da quando il referendum è stato perso anche se a loro modo di vedere l’isolamento produrrà prima o poi effetti negativi, di contro non si ritengono sciocchi o avventati quelli che hanno creduto che votare per la Brexit sia stato utile per distaccarsi da politiche, anche economiche, storicamente incongruenti con le loro in un distinguo anche nostalgico di una  Gran Bretagna che però non esiste più.

To be or not to be come a dire che la “questione” è il grande rischio della fine dell’eurozona, Londra è la seconda piazza finanziaria del mondo e non è in una posizione di debolezza come si vorrebbe far credere, e per le istituzioni finanziarie europee perdere un partner così sarebbero solo guai.

Giuseppe “vas” Vassura

 

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About Vassura

Residente ad Alfonsine (vicino Ravenna), si è diplomato in Agraria all' Istituto Scarabelli di Imola e da lì ha iniziato a scrivere (giornalino studentesco), ha poi frequentato tre anni di Università a Bologna ed ha iniziato l'attività di assicuratore in Ras, che attualmente ancora persegue ma solo come consulente aziendale indipendente. Gli piace ascoltare musica blues, folk e scarpinare in mountain bike. Animatore e P.r. in località Milano Marittima fino al 2001, é da sempre volontario e socio WWF. Capacità di comunicare e lavorare in team, unito allo spirito di adattamento, immaginazione e capacità di organizzare in modo equilibrato il tempo, fanno risaltare in lui doti di generalista più che di specialista..


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