Nell’immaginario popolare “fine gara” viene inteso come “debàcle” professionale, performance giunta come si suol dire “alla frutta”, ma anche come il momento conclusivo della competizione in cui l’atleta deve buttare il cuore oltre l’ostacolo e dare tutto, anzi di più; queste due parole sono state spese in questi giorni da tanti critici musicali per fotografare lo stato di salute della principale vetrina canora di casa nostra, il Festival di Sanremo.
Da troppi anni questo evento non riesce più ad incollarci al video, sarà la noiosa ripetitività della gara o la penuria qualitativa degli artisti che la popola, ma gli ascolti sono in picchiata e forse quest’evento è, come detto da molti, lo specchio più fedele di ciò che l’Italia ultimamente, anche in questo settore, esprime.
In questo contesto già dal primo anno di conduzione sia Fabio Fazio sia Luciana Littizzetto sono apparse le ombre dei brillanti protagonisti multimediali che conosciamo, sarà colpa dell’atmosfera “vintage” della performance canora che da più di 60 anni si svolge nella terra dei fiori che affloscia anziché vitalizzare oppure la location del Teatro Ariston che non aiuta ad attualizzare l’eccellenza italiana in fatto di canto, insomma il flop delle prime serate era nell’aria; l’interesse dei critici del settore è stata minima e dai media si è levato un coro unanime di feroci critiche su coreografia, testi, “gag”, ospiti di secondo livello, insomma una agonia.
Da troppo tempo il Festival è ingessato e non ha cercato di avvicinarsi a modalità comunicative contemporanee formulando un sano rapporto fra canzoni e le arti della scena, l’acculturazione musicale si è sclerotizzata alle forme già esistenti e consolidate del passato e di pionieri capaci di dare la scossa non c’è traccia; è un peccato, gran parte della nostra cultura musicale è nata proprio col Festival, era visualizzata davanti a quello schermo in bianco-nero con un appeal irresistibile, purtroppo giacchè in quegli anni quelle erano opere “prime” non si è pensato di modificare alcunchè e non sostituire una formula con l’altra, ma si è deciso di mantenere in essere nel tempo quel clichè.
Gli anni 70 forse davvero fecero da spartiacque, mentre autori e cantanti cercarono altre forme di espressione canora (folk, rap, blues) e la tv cominciò a capire la trasformazione, il Festival no dato che la sua consolidata rendita di posizione ancora garantiva appeal ed ascolti; “ l’appuntamento Festival” non permise a nessuno di accollarsi alcun rischio di modernizzazione ed ecco il perché, lentamente, l’interesse per tale evento è scemato.
Certamente meglio sarà per i tanti appassionati di musica italiana se si aprirà finalmente una nuova stagione nella quale non si tenti disperatamente di riportare sullo schermo la forma tradizionale, ma si lavori invece su nuove forme coreografiche e nuove ipotesi di ripresa e di resa visiva adatte al mezzo canoro ed al passo coi tempi.
Tutto questo un campo da sondare e sperimentare ma, a quel che si vede dalla “scaletta” 2014, la linea della direzione artistica del Festival va da tutt’altra parte, come dire, a fine gara.