Successo previsto per il leader conservatore Boris Johnson che ha trasformato le elezioni anticipate britanniche in una specie di “referendum bis” contro l’adesione alla Comunità Europea, proposta prima da Churchill dopo il conflitto mondiale e poi dalla Thatcher nel referendum del 1975.
Sono cambiati tempi, allora Londra “doveva” presidiare un continente europeo area d’influenza degli odiati franco-tedeschi, mentre oggi col referendum del 2016 la maggioranza dei sudditi di Sua Maestà ha scelto Brexit abbandonando (dopo 47 anni) l’Europa al proprio destino, ipotizzando solo accordi di libero scambio sul modello canadese, scegliendo l’oltreoceano “made in Usa”e tenendosi ben stretta i grandi capitali arabi già da tempo di casa a Londra, virando così da partner affidabile ad acerrima concorrente in una sorta di “Singapore” sul Tamigi.
“Get Brexit Done” è stato lo slogan della campagna elettorale di Johnson raccolto in massa dalla (larga) maggioranza degli elettori, che gli darà mandato di onorare la promessa di realizzare Brexit in tempi rapidi ossia entro il prossimo 31 gennaio, negoziando con Bruxelles dal 31 gennaio al 31 dicembre 2020 i futuri rapporti fra i due blocchi.
L’uscita di Londra dall’Europa è nata dall’atavico risentimento britannico sulla propria “cessione di sovranità” nei riguardi delle politiche continentali, complice l’ondata migratoria dai Paesi dell’Est, che negli anni ha fatto traboccare un vaso già colmo in una alchimia di malumori e disagi “very british” cha ha poi portato al risultato del referendum del 2016.
Per una Brexit certa, una disgregazione del Regno Unito che è vista dietro l’angolo perché la convivenza (pacifica) delle odierne quattro popolazioni britanniche (gallesi, inglesi, irlandesi del nord e scozzesi) è ora messa in forte dubbio dal “capitale politico” di seggi conquistati dai partiti nazionalisti europeisti, soprattutto per le due anime scontente e irrequiete come Irlanda del Nord e (soprattutto) Scozia che all’indomani del voto hanno immediatamente dichiarato che loro con l’egocentrismo inglese nulla c’entrano e che forti dello storico successo elettorale vorranno da subito cambiare le carte in tavola semmai promuovendo nuovi referendum secessionisti.
E’ questa una spina nel fianco che (forse) non ci voleva per Johnson perché la distanza che stanno prendendo gli europeisti cattolici di Edimburgo e Belfast rischia di offuscare non poco il suo fresco trionfo elettorale.
Il biondo premier quanto potrà ancora a lungo ignorare la volontà popolare cattolica infiammata dai nazionalisti di Scozia e dell’Ulster, che ambisce a riunificarsi con l’Irlanda, se non vorrà rischiare che sotto la sua amministrazione il Regno inizi a diventare meno “Unito”?
Giuseppe “vas” Vassura