dogville-2003

Dogville: la visione spietata di Von Trier

Trama:
Siamo negli anni 30: Grace, una ragazza in fuga da alcuni gangsters della malavita, trova rifugio in una piccola cittadina del Colorado isolata fra le montagne ; in cambio di asilo accetta di lavorare per gli abitanti di Dogville, ma imparera’ presto che ogni forma di aiuto ha un prezzo: una volta appreso che la ragazza é ricercata tutti i cittadini iniziano ad avanzare pretese su di lei, ma Grace nasconde un segreto che alla fine li farà pentire amaramente delle loro azioni meschine…

Commento:
Singolare é il primo aggettivo che viene in mente per descrivere quest’opera: il regista danese Von Trier porta alla luce una fusione fra cinema, teatro e dramma, ambientato per tutta la sua durata su un grande palcoscenico nero (rassomigliante a una grande lavagna) e che si sviluppa come una parabola “amara” sull’uomo e il contesto sociale, sorretta da un’ottima sceneggiatura e divisa in 9 capitoli e un prologo.

L’atmosfera in alcuni punti sembra quasi surreale data la causticità del regista nel rappresentare questa comunità deviata e stravagante, caratteristica che risalta però l’introspezione che celano i vari personaggi nel corso degli eventi.
Meravigliosa e molto espressiva l’interpretazione della Kidman (Grace), che sembra perdonare e assecondare le orribili angherie e i terribili soprusi della miserabile cittadina, appoggiandosi soprattutto alla figura di Tom (interpretato da Paul Bettany), lo scrittore e portavoce di Dogville che prova per lei uno strano affetto, che si rivelerà poi deviato.

Siamo di fronte a una scenografia molto povera e ridotta all’essenziale: non esistono case e mura, ma solo confini, alberi e strade delineate col gesso come su una lavagna; inoltre la minima presenza degli oggetti di scena sembra quasi deliberatamente voluta con l’intenzione di delineare ed evidenziare al massimo gli atteggiamenti, le espressioni e i ruoli dei membri della piccola comunità fino a rivelarne, come si vedrà, l’essenza più personale e intima di ognuno di questi.
Nel film notiamo come anche la flora e la fauna sono state omesse: le siepi, gli arbusti, e perfino il cane Mosé (di cui sentiamo solo l’abbaiare alla comparsa della protagonista) non sono presenti sulla scena bensì rimpiazzati dalle rudimentali, e in un certo senso crudeli, linee di gesso. Per quanto riguarda le luci il bianco e il nero si alternano come due opposti (il giorno e la notte), come se volessero rappresentare anche i due lati opposti (quello buono e quello oscuro) dell’animo umano.


L’uso della telecamera a mano é visibile e presente in diverse scene, specialmente quelle riguardanti i dialoghi fra gli attori: una scelta ‘innovativa’ per il periodo del film, che favorisce il coinvolgimento dello spettatore meno avvezzo e abituato a rappresentazioni teatrali, come se si trovasse anche lui stesso nella scena.
Un difetto se vogliamo potremo trovarlo sulla ‘onnipresenza’ della voce narrante, a volte ridondante e leggermente fuori luogo in alcuni punti della trama risultando quasi marginale alla storia, mentre sarebbe meglio che le immagini “parlino” da sole allo spettatore più attento e vontrierano
Colonna sonora un pò lenta ma che si adatta perfettamente al dramma sviluppato.

Lo scioccante finale inverte le posizioni di vittima e carnefice, riportando il giusto equilibrio che sembrava essersi perso fra le due parti.


Note:
Per la distribuzione nel nostro paese il film fu scandalosamente tagliato di ben 45 minuti rispetto all’edizione americana che consta di quasi tre ore.
In una intervista postuma alle riprese l’attrice Nicole Kidman ha dichiarato di essere rimasta un po’ turbata dal trattamento e all’isolamento imposto da Von Trier, rivelando che non avrebbe nuovamente recitato in un suo film.
Quando andai a vederlo al cinema ricordo ancora come alcuni spettatori (quelli più ignoranti e conformisti) abbandonarono la sala dopo 15 minuti dalla visione della pellicola solo perché la spoglia scenografia li aveva lasciati insoddisfatti e annoiati.

Un film atipico quindi: uno degli esperimenti più rischiosi ma anche più riusciti di Von Trier che, a distanza di anni (2003), rimane un’analisi cruda e pessimistica dei comportamenti di cui l’uomo é spesso ignaro artefice, e che a malincuore ritroviamo anche nelle “piccole realtà” dei giorni nostri.

(4,5 / 5)
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