La Pasqua, festa della tradizione ebraico-cristiana è carica di significati e simboli ma mai più di quest’anno verrà ricordata nell’immagine di qualche giorno fa del Santo Padre che prega da solo sul sagrato della basilica vaticana, in una piazza San Pietro vuota e bagnata dalla pioggia. Non era mai accaduto prima.
L’emergenza Covid-19 come una tempesta ha spazzato via la concezione del pontificato di Papa Francesco annunciato al tempo della sua elezione sette anni fa, come di un cammino “vescovo-popolo” l’uno accanto all’altro, mentre oggi il pastore è rimasto col solo “odore delle pecore” ma senza il suo gregge, che è rimasto confinato a casa per paura dell’epidemia ed in base alle normative anti contagio.
Dopo la pandemia per tanti nulla sarà più come prima, ma non per le persone di fede che credono e operano perché sia accolta la vita donata loro da Cristo, ora non partecipano alla vita comunitaria delle diocesi ma pur bloccate in casa pregano e riflettono con senso di responsabilità della vita che la loro fede comanda di amare; sono tanti i fedeli che a tal proposito hanno testimoniato, dopo un pellegrinaggio in Terra Santa, quanto soltanto “la pietra” che li ha accolti all’ingresso della Basilica del Santo Sepolcro emani una forza che non si possa spiegare con le parole ma soltanto con la fede.
Mai come quest’anno la Pasqua reca con sé i simboli legati alle speranze e ai nostri bisogni, dalla “colomba” simbolo di dolcezza e fratellanza universale che nel becco tiene un ramoscello d’ulivo che porterà a Noè per avvisarlo della fine del diluvio e dell’inizio della pace tra Dio e gli uomini, all’ “agnello” che gli ebrei immolano a Pasqua col significato del Cristo che muore per dare la vita, ovvero la morte che si trasforma in vita per colui che mangia la carne, come il sangue dell’agnello sugli stipiti delle case ha protetto contro lo sterminatore che salta quelle dimore non uccidendo i primogeniti.
Eppoi c’è l’ “uovo”, che per la gioia dei nostri piccoli è oggi di cioccolato, ma fin dai tempi antichi è stato simbolo della creazione, vita e sacralità, un dono in natura che è documentato già dai persiani e dagli egizi che lo consideravano beneaugurante come il cambio di stagione di questo periodo e come una sorta di primo dell’anno, un simbolo della rinascita primaverile della natura.
Col Cristianesimo divenne poi espressione della rinascita dell’uomo in Cristo, il seme primordiale fonte di resurrezione e sapienza nelle culture diverse, assieme al “pane azzimo” senza lievito che segna il cambiamento della stagione e introduce un nuovo ciclo del tempo, come a dire che il Cristo immolato ha dato vita agli uomini e l’ “azzimo” vecchio di malvagità deve scomparire.
Giuseppe “vas” Vassura