'20 fotoarticolo 8 marzo

Otto marzo, femminismo VS patriarcato

Dall’arrotino che sotto casa inizia il suo annuncio rivolgendosi alle donne, casalinghe e devote alla casa, alle supermodelle bidimensionali che dall’alto dei loro cartelloni pubblicitari guardano con occhi languidi e espressioni poco vispe, per finire sfogliando la rivista dove in prima pagina si trova la modella brasiliana mezza nuda che pubblicizza un’azienda telefonica, sembra che definire l’Otto marzo “festa delle donne” sia il modo più corretto per dire che gli altri 364 giorni dell’anno siano la festa dell’uomo.

Non bisogna essere per forza moralisti per notare queste storture che attraversano l’universo femminile, a cui d’altronde nemmeno le femministe più incallite hanno potuto porre argine di fronte al deprimente trend di ragazze mezze nude che sono orgogliose di esporre il loro bel fisichino perché così hanno trovato un modo semplice e veloce per far quattrini; da ciò, quanto sembra aver ancor meno senso la giornata della donna quando si fa fatica a credere che uomini e donne abbiano gli stessi diritti, la stessa considerazione, lo stesso trattamento in campo lavorativo, sociale e politico.

La rifondazione del femminismo dovrebbe invece proprio partire dalla data simbolo dell’Otto marzo dove, a parte il businnes dei fiorai e dei srilankesi che ai semafori cercano di vendere mimose, le donne non sono privilegiate, non vengono tenute in maggior considerazione e non godono di diritti extra; una strada in salita da fare soprattutto nei campi del lavoro e dell’immagine, che poi sono collegati, dove tutte le professioni (e carriere) sono aperte ma solo se con poca famiglia, poca casa e niente figli, pena il declassamento o l’allontanamento o peggio la mancata assunzione.

Anche nel “privato” c’è tanto da fare, sebbene il Nuovo Diritto di Famiglia abbia stabilito a metà degli anni ’70 parità di diritti e doveri tra coniugi e più recentemente l’eguaglianza di tutti i figli nati dentro o fuori dal matrimonio, portare il cognome della madre ha suscitato scarso appeal; in Francia dopo l’entrata in vigore della legge in materia, attribuire ai figli il cognome dell’uno o dell’altro genitore sembrò un’opzione favorevole alla parità dei sessi, nel darsi indipendenza anagrafica e contro il patriarcato e la burocrazia, invece la liberalizzazione dei cognomi ha coinvolto meno del 20% degli interessati con una predominanza di oltre l’80% a favore del cognome paterno.

Ciò a significare che il patriarcato non è ancora al tramonto nell’immaginario collettivo e la figura del padre conserva ancora tratti di autorità, come d’altronde in ambito religioso dove il confronto all’evidenza fisica corporea della maternità “semper certa”, concede al padre l’invocazione che apre la principale preghiera della cristianità, che in un Paese come il nostro a forte vocazione religiosa fa ancora molta differenza.

Giuseppe “vas” Vassura

About Vassura

Residente ad Alfonsine (vicino Ravenna), si è diplomato in Agraria all' Istituto Scarabelli di Imola e da lì ha iniziato a scrivere (giornalino studentesco), ha poi frequentato tre anni di Università a Bologna ed ha iniziato l'attività di assicuratore in Ras, che attualmente ancora persegue ma solo come consulente aziendale indipendente. Gli piace ascoltare musica blues, folk e scarpinare in mountain bike. Animatore e P.r. in località Milano Marittima fino al 2001, é da sempre volontario e socio WWF. Capacità di comunicare e lavorare in team, unito allo spirito di adattamento, immaginazione e capacità di organizzare in modo equilibrato il tempo, fanno risaltare in lui doti di generalista più che di specialista..


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