Dopo 25 anni un autore americano, Robert Zimmermann in arte Bob Dylan, è stato premiato col Nobel per la Letteratura 2016, la motivazione dice “per aver creato nuove espressioni poetiche all’interno della grande tradizione della canzone americana”.
Cosa c’entrasse col Nobel Bob Dylan e cosa è cambiato nel valore letterario universale del premio dell’Accademia svedese, questo devono essersi chiesto il giorno dopo quei bacchettoni di letterati che fino a ieri lo ricordavano solo come il “menestrello di Minneapolis”.
Il britannico Salam Rushdie, l’americano Jonathan Franzen ed il nigeriano Wole Soyinca Nobel 1986 i più “acidi” nel criticare la scelta nel neo vincitore-cantautore Usa, feroci critiche però anche di gran parte della “casta” più radicale e meno propensa ad allargare i confini della Letteratura accademica, patinata e nobile, paladina questa fra l’altro di una protesta nei confronti dell’Accademia rea di aver negli anni portato il Nobel “tripla A” degli scrittori illuminati ad una sorta di “Nobel delle Arti & Mestieri”, meno nobile anche se di grande circolazione e popolarità.
E invece “Zimbo”, così lo chiamavano i compagni del liceo, col Nobel c’entra eccome. E’ datata 1996 la sua prima candidatura assieme ad una moltitudine di altre riconoscenze extra canore, gli sono stati conferiti inoltre prestigiosi premi come quello de Il Principe delle Asturie (2007), Il Pulitzer (2008) e La Nathional Medal of Arts (2009), onorificenze queste che di solito non riguardano i menestrelli.
Dylan è da considerare perciò attore degno di tali meritevoli attenzioni al pari di illustri “non letterati” del rango di Winston Churcill e Bertrand Russel rispettivamente “Nobel” nel 1953 e 1950, rappresentanti peraltro la folta schiera di “diversamente poeti” che ha annoverato negli anni gente come Dario Fò (1997), Harold Pinter (2005) e Svetlana Aleksievic (2015).
C’è semmai da chiedere perché questo riconoscimento non sia arrivato prima, l’influenza che le sue canzoni e composizioni hanno avuto in tutto il mondo ha qualcosa di unico e forse irripetibile perché nel caso di Dylan non sono state le melodie ad essere importanti bensì invece le parole, come ad esempio in “Like a Rolling Stones” (Che effetto fa cavartela da sola, non poter tornare a casa, che nessuno ti conosce, come un sasso che rotola via) o “Blowin’ in the wind” (E le palle di cannone quante volte dovranno volare prima di abolirle per sempre? La risposta amico mio, vola via nel vento) oppure “Knockin’ on heaven’s door” (Seppellisci le pistole, mamma non le userò più. C’è una lunga nuvola nera che arriva, sento che sto per bussare alle porte del cielo).
Ecco il perché del Nobel a Dylan, una stretta relazione che da sempre ha legato la sua musica alla poesia, un filo che unisce la cultura popolare dove cantare bene non serve a nulla senza la capacità di comunicare i valori di semplicità e libertà.
Da Dante Alighieri a Bob Dylan, un viaggio nel tempo dove poesia e musica non sono mai state vissute come forme di espressione artistica tanto differenti, quello che d’altronde sembra indicare il premio svedese al menestrello di Minneapolis ovvero quanto la poesia abbinata alla musica non valga meno della poesia pura.
Giuseppe “vas” Vassura