L’ Ocarone

Era una stradina stretta, molto lunga, di quelle sterrate che attraversano la campagna. Da un lato vi era un fosso profondo, dall’altro ve n’era uno molto più piccolo.

ocarone

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Quando pioveva per molti giorni, il fossato grande diventava un ruscello invaso da diversi animali: galline, anatre, rane, insetti di ogni tipo. In primavera l’erba era talmente alta che là, sotto il verde, il pullulare della vita scompariva alla vista. Le ortiche e i fiori selvatici crescevano a dismisura e l’aria si riempiva d’afrori d’ogni genere.

La stradina partiva dal paese e arrivava ad una chiesetta dove tutti i giovedì assistevo alle lezioni di catechismo, per prepararmi alla prima comunione.
Erano gli anni 50, frequentavo la terza elementare e se non fosse stato per quel problema che mi affliggeva moltissimo, sarei stata ben contenta di recarmi al catechismo. Quando il tempo era bello precorrevo la stradina in bicicletta, mezzo che mi permetteva di arrivare a destinazione in una decina di minuti, ma quando il tempo era brutto ero costretta a percorrere quel tragitto a piedi.
Purtroppo quando mi recavo a piedi il mio cruccio diventava vera inquietudine, perché quella stradina oltre ad essere frequentata dagli animali che ho già citato, era praticata da un pennuto veramente strafottente. Un’oca maschio di dimensioni gigantesche che s’aggirava dall’aia al grande fosso, dal campo alla strada. Un vero incubo starnazzante che odiavo con tutta me stessa. Inutili erano le proteste che rivolgevo alla mamma, la quale sdrammatizzava dicendomi: “non avrai paura di un’oca?…fosse un cane!… prendi una bacchetta e difenditi”.
Cercavo di seguire i suoi consigli, ma quando arrivavo nei pressi della casa dove abitava il mostro, mi invadeva un nervosismo incontrollabile e la bacchetta ricavata dalle ginestre, si rivelava un’arma molto debole. Appena mi vedeva, l’oca correva verso la mia direzione, con il becco spalancato e facendo un frastuono incredibile, cercava di beccarmi ovunque. In bicicletta riuscivo a distanziarla pedalando come un fuoriclasse del ciclismo ma quando purtroppo ero a piedi, pur correndo a perdifiato, la sciagurata riusciva a raggiungermi e a beccarmi le gambe. Alcune volte le mie grida e lo starnazzare, attiravano l’attenzione della proprietaria, che usciva di casa e richiamava l’animale. Mentre correvo, sentivo la sua voce che mi diceva: “non avere paura bambina… non ti fa niente”. Incredibilmente la mia nemica, ubbidiva ai richiami della donna e rientrava nell’aia, posto nel quale avrebbe dovuto stare sempre. Io neanche mi giravo, continuavo a correre fino in chiesa, dove mi lamentavo con Dio per quella prova esagerata alla quale mi sottoponeva. Riflettevo sui peccati fatti negli ultimi giorni per rendermi conto se corrispondevano a quella punizione esemplare, ma a volte i conti non tornavano, perché magari nei giorni precedenti avevo tenuto un ottimo comportamento. Di notte facevo un incubo ricorrente, sognavo l’oca, mentre mi inseguiva e riusciva con un colpo esagerato di becco a gettarmi nell’acqua del fossato, dove annaspavo per non annegare, finché non mi svegliavo tutta sudata e impaurita. Dovevo assolutamente trovare un sistema per rendere la mia vita meno travagliata e pensai di procurarmi un arma di difesa più efficace. Un pomeriggio andai nel boschetto poco lontano da casa mia per sostituire la bacchetta di ginestra con un’altra più robusta. La scelta non fu facile; trovavo dei bastoncini più grossi ma vuoti, oppure troppo corti, o troppo secchi che si spezzavano facilmente, finché la fortuna mi fece imbattere in un bel bastone, alto un po’ meno di me, con una circonferenza di circa dieci centimetri, soprattutto ben consistente e robusto. Provai a colpire ciò che mi capitava sotto mano e notai con piacere che era davvero un buon bastone. Arrivata a casa nascosi la mia arma nella rimessa, stando attenta che nessuno mi vedesse. Arrivò il giovedì seguente, furtivamente andai a recuperare il bastone e mi incamminai verso la chiesa, lasciando a casa la bicicletta anche se era una bella giornata. Nei pressi della casa, l’oca era sul ciglio del fosso e appena mi vide inarcò il collo correndomi incontro. Mi sembrava un mostro mitologico pronto a farmi sparire per sempre dalla faccia della terra. Mi fermai tremante e la fissai negli occhi, impugnai il bastone con tutte e due le mani, stringendolo fortissimo. Quando l’oca fu a pochi metri da me aveva il becco e le ali aperte e un’espressione infuriata che mi diede la forza di sferrarle un colpo proprio a metà del collo. La vidi proseguire barcollando, oltre la direzione da dove provenivo, per poi finire dritto dentro il grande fosso. Mi guardai attorno e non vedendo nessuno, osai affacciarmi nel punto dove era caduta la scellerata, ma con grande stupore non vidi nulla. Si era inabissata tra le sterpaglie e solo dopo uno sguardo più attento vidi una piccola chiazza bianca occhieggiare tra le ortiche. Mi allontanai da quel punto con passo guardingo e nascosi il bastone nel fosso più piccolo nel caso avessi dovuto adoperarlo ancora. Proseguii il cammino, mentre una ridda di pensieri ambivalenti mi attraversava la mente; temevo che qualcuno mi avesse vista e mi preoccupavo della punizione alla quale sarei stata sottoposta, allo stesso tempo non ero sicura di aver ucciso l’animale e quindi poteva accadere che ritornando me lo trovassi davanti più arrabbiato di prima. Dopo alcuni giorni il mio patema d’animo si attenuò, non pensai più all’oca malefica e il giovedì successivo percorsi la solita stradina sterrata senza fare brutti incontri, arrivando alla lezione di catechismo con uno stato d’animo finalmente serafico.
Poco tempo dopo, casualmente, mentre io e la mamma eravamo nell’unico negozio alimentare del paese, incontrammo Rosina, la padrona dell’oca, la quale intrattenendosi a parlare con noi, disse: “sapete che non riesco più a trovare l’ocarone…ve lo ricordate vero?” come no rispose la mamma, guardandomi, io finsi stupore, mentre Rosina aggiunse: “credo proprio me l’abbiano rubato…mi dispiace perché era intelligente e c’ero tanto affezionata!”

NADIA GIBERTI – Imola(Bo)

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